IL PERCHE DELLA CARNE? FAME D'ANIMA.
Ma davvero e'necessaria la presenza fisica in "carne ed ossa" della persona reale, che potrebbe avere le risposte alle tue domande per sfamare la tua fame d'anima? Non basta forse vedere il “prodotto” del suo pensiero, una sintesi della sua vita che si esprime nell 'opera d'arte?
Ovviamente non mi bastava, altrimenti come avrei osato chiamare il famoso artista, l'arte di cui rappresentava tutto ciò che è più esoterico e raffinato nell'era lontana della sperimentazione con pittura in movimento?
Inventore dello schermo di aghi, lui sapeva come maneggiare le ombre come nessun altro. Concettualmente si potrebbe chiamarlo il padre di computer grafica, solo che ai suoi tempi non c'erano i computer.
A che mi serviva incontrarlo-avevo 18 anni, lui 80?
Per saziare la fame d'anima.
Dunque,
-Sono una studente d'arte. Mi piacerebbe incontrarvi.
-Dove hai preso il mio numero di telefono?
-Dal libro telefonico.
Dopo una pausa lui ha risposto ironicamente:
-Tu devi essere intelligente. Bene, veini alle 5 per prendere una tazza di tè insieme.
L'atmosphere di sua casa sembrava quella del capitano Nemo, era qualcosa assolutamente fuori dal mondo. Sembrava che li il tempo si è fermato un secolo fa, creando l'atmosfera di un pittoresco stagno. Ovunque erano amassati libri antichi che di solito sono esposti, intoccabili, nei musei; qui si poteva sfogliarli a piacimento.
Sua moglie mori' un anno fa...Io sapevo che loro avevano lavorato insieme per tutta la vita, pero'non sapevo che, come me, quasi un secolo fa, lei è entrata in suo studio, una studentessa d'arte venuta dall'America.
Ovunque mi trovavo, sempre sentivo un grande distacco dalla realta' che mi circondava. Invece li, nella casa d'artista piena di ombre, ho subito avvertito un' incredibile senso di appartenenza. Tutto, pure gli oggetti quasi invisibili nella penombra apparivano familiari.
Senza perdere tempo in conversazioni mondane, mi sono accomodata sul divano a sfogliare i suoi libri, quiei leggendari libri pubblicati in edizioni limitate all'inizio del secolo scorso.
Quasi non si parlava. Di rado, d'improvviso, a lui sfuggiva un commento.
"Ah sì, la Rivoluzione ... la stavamo aspettando come bambini aspettano addobbare l'albero di Natale. Invece quando e' avvenuta, tutto è degenerato nella bestialità più brutale. Ricordo come ultima immagine della Russia una donna che stava morendo di una terribile ferita allo stomaco; nessuno prestava attenzione alla sua sofferenza ... "
l tè si raffreddava sul tavolo accanto ad un'enorme scatola di cioccolatini che Io gli ho portato in regalo. L'artista li mangiava con piacere, lui amava dolci.
"Che modo interessante hai di guardare- non parli, ma vedo che capisci tutto. Sai, qua passano parecchie persone, dicono," complimenti ", ma non capiscono niente, sono tutte chiacchere ..."
La luce del giorno si spense lentamente, ma l'artista non accese l'antico massiccio lampadario, che gli era vicino. Siamo rimasti nell'anatra, trasformandoci anche noi in due ombre, appena percettibili nello spazio incerto della casa. Ora non potevo più guardare i libri, rimanemmo in silenzio per ore a vedere come stava diventando sempre più buio.
All'improvviso mi sono ricordato che la metro sarebbe presto chiusa, dovevo partire. Ora è arrivato il momento dei saluti, di stabilire quando e se fosse il caso di tornare... un brutale ritorno alla quotidianita insensata.
Ma no, con lui non c'era bisogno di giocare i giochi sociali.
-Tornerai domani?
-Sì.
-Ti aspetto alle 5 per una tazza di tè.
-Bene.
A casa l'amica che mi ospitava fu agitata:
-Stavo per chiamare la Polizia!
-Perché?
-Da quando si prende una tazza di tè dalle cinque fino a mezzanotte? Dove eri?
- Sono andata a visitare un anziano artista famoso.
-E lui ha dedicato così tanto tempo a te?
-Abbiamo passato del tempo insieme, è diverso.
-Oh, allora deve averti detto molte cose. Raccontami!
-C'è poco da raccontare, ho solo guardato i suoi libri.
Amica mi guardo' incredua.
Davanti alla finestra di casa d'artista cresceva un'albero che gettava ombre capricciose sul muro della sua stanza, e così fu il suo mondo: lunghi silenzi, ombre, mozziconi di ricordi.
Ogni volta che veniva a trovarlo, l'artista s'accommodava nella grande poltrona, la luce della finestra fu dietro di lui. Nel crepuscolo la sua presenza fu quasi intangibile, una silhoette scura che cominciava parlare all'improvviso di qualsiasi cosa gli venisse in mente, poi diventava taciturna e teneva quel silenzio per ore. Stranamente, non fu un silenzio pesante, che divide, al contrario-ci sentivamo uniti dalla luce crepuscolare che lentamente si trasformava in oscurità.
La stessa cosa si ripeteva ogni giorno finche ho ozardato di chiederlo: "Saresti il mio maestro?". "Certamente, mi disse, pero', vedi..."
Ma allora non vedevo nient' altro che la sua sagoma in controluce. Conoschevo bene la sua arte, pero' ho letto la sua biografia solo anni dopo. Non sapevo che allora stavamo ripetendo la stessa scena che era già accaduta con la timida studentessa appena arrivata dall'America, che poi è diventata la sua moglie . Ma nel primo caso di fronte a lui si prostrava il vasto campo chiamato "vita", ora il puntatore indicava la direzione opposta.
Il mio arrivo ha messo in discussione la fine del gioco tra vita e morte che sembrava già deciso. Non mi rendevo conto di essere una carta forte ed inaspettata contro l'eterna vincitrice. Non capivo che per l'artista anziano mia presenza fu un possibile motivo per continuare a vivere.
In quanto affashinata da lui, non capivo lo stato d’animo del uomo che mi stava di fronte; per me si trattava di girovagare tra le tenebre del passato dove si nascondevano le radici della nostra cultura, mentre lui s'esercitava nel come scomparire per sempre. Il mio arrivo ha messo in discussione la fine del gioco tra vita e morte che sembrava già deciso. Non mi rendevo conto di essere una carta forte ed inaspettata contro l'eterna vincitrice; non capivo che per l'artista anziano mia presenza fu un possibile motivo per continuare a vivere.
Mergeresi con le ombre fu il suo futuro prossimo, non era il destino che lui voleva per me. All mio arrivo l'artista m’indicava il posto più luminoso nella sua tana tenebrosa. Fu tanto premuroso che un giorno ha invitato un giovane compositore francese con la treccia.Uomini parlavano di musica moderna, di ultime novità nel mondo culturale...Eppure che dissonanza sgradevole il compositore ha portato nel nostro quotidiano silenzio! Voltandosi a me, l’artista mi fece l'occiolino e disse, in Russo:
-Carino, vero?
-Per niente.
-Sei gelosa come bambino per mancanza d'attenzione, tutto lì.
-Lo trovo noioso.
Smettila, è il nostro ospite.
Il NOSTRO ospite?..
Quando arrivò il tempo accendere il massiccio lampadario il compositore se n’era andato via. L'artista ed Io rimanemmo per l’ennesima serata in semi-buio. Sembrava che avessi superato un qualche esame; lui parlava più del solito, raccontando com’era arrivato dalla Russia bolscevica a Parigi senza soldi; come incontrò il famoso scenografo che lavorava per Diahgilev, che diventò suo maestro. D’improvviso mi sbalordì con una proposta:
-Ti darò Io i soldi; il mio maestro mi mantenne per anni.
-Non ho bisogno di soldi, grazie.
-Dici bugie, gli artisti non hanno mai soldi.
-Mio padre guadagna bene e mi mantiene.
-Ah, bravo. Peccato, mi sarebbe piaciuto…mi devi promettere che se avrai il minimo problema, prenderai da me i soldi senza fare i complimenti, sono il tuo maestro, ora.
A me non servivano né il compositore francese né i soldi, pero' rimasi colpita dalla sua premura. Sapevo che tempo fa questo tipo di comportamento fu normale nei rapporti tra intellettuali Russi , ma un conto leggere di tale usanze nei libri, altro conto fu incontrare tale atteggiamento nella vita.
L’artista non pensava soltanto come “una volta”, conosceva pure le parole antiche che sono fuori uso da anni. Pure Io le conoscevo, ma non gli ho mai sentito usare nella vita quotidiana, fu roba di libri. Intanto, passavamo sempre piu' tempo insieme; eppure quel tempo non bastava mai, si trattava di dissolversi completamente nel silenzio e le ombre. Mi sembrava che eravamo molto vicini alla nostra meta'...
Dopo quasi una settimana di te e cioccolatini l'artista m' invitò per il pranzo. Come tutti i Russi della sua generazione, lui aveva una domestica che veniva a servirlo il pranzo; il pranzo fu un piatto di purè prefabbricato riscaldato in fretta , che si raffreddava mentre lui faceva una dettagliata analisi dell’ultima poesia di Pushkin in relazione con quella di Lermontov, un’abitudine che faceva impazzire la sua pragmatica figlia, come lessi dopo nella sua biografia. Eppure era uno dei migliori pranzi che mai mi capitò nella vita. Avevo la sensazione di mangiare non con un uomo anziano, ma con una civiltà antica che stava per sparire per sempre e che avevo avuto l’onore di conoscere "in carne". Fu come pranzare a bordo del Titanic affondato, dove ciò che hai sentito e hai letto del passato d'improvviso diventa una realtà a portata di mano.
Un giorno gli chiesi:
-Posso vedere lo schermo d'aghi?
-Non entro nello mio studio da quando è morta la mia moglie.
-Prima o poi bisognerà pure farlo. Perchè non ora? Entriamo!
Senza parlare, prese una massiccia chiave e spalancò la porta accanto alla sua abitazione.
Lì dentro si trovava la sua famosa invenzione-un oggetto bizzarro, unico nel suo genere. Più che oggetto per me aveva valore come una profonda riflessione sui temi che poi dopo sono diventati centrali nella mia vita: la forza d’instabilità, tracce di luce come pennellate, contorni sfuocati…Da un lato c’era una grande scatola di legno piena di strumenti che assomigliavano ai piccoli martelli tagliati in un modo capriccioso. Lo scermo d'aghi funzionava così: da dietro lo schermo si faceva il segno con il ”martello”- pennello, come risultato d’avanti veniva fuori una traccia che poteva apparire in mille modi, dipendeva da come veniva illuminata, che poi veniva ripresa con un’enorme antica cinepresa che usavano al inizio del 20° secolo.
Per l'artista fu difficile rimanere nello studio, e allora tornammo nella biblioteca, tra le ombre.
Tutto era così calmo, nessuna fretta, lui stava lì nella sua poltrona e aspettava l’arrivo del buio.
D’improvviso ho capito che ci trovavamo in due dimensioni diverse: la stanza era piena dei silenzi e di ombre e di fantasmi, ma era anche vero che lui si trovava alla stazione, il suo biglietto era pronto; su quel treno non si viaggiava con i bagagli; la direzione del treno era targato: “Morte”.
Ah, è quello che lui aspettava! Ma perché questa calma, totale rassegnazione?
A 18 anni è difficile accettarlo.
-Alla stazione passano tanti treni, uno potrebbe decidere di prendere un altro treno, quello con la direzione targato "la Vita”.
Lui non era affatto sorpreso, sembrava che stesse continuando un dialogo interiore:
-E poi?
Strano, ho sempre avuto una fantasia vivace, ma allora non sapevo rispondergli su che cosa sarebbe avvenuto “poi”. Non avevo nessuna immagine, nessun presentimento, nessuna fantasia a proposito. Quale avrebbe potuto essere il suo “poi”?
-Quando uno viaggia in treno si può affacciare al finestrino e guardare i paesaggi nel continuo cambiamento, attraverso gli occhi lavati dal vento.
Lui sorrise:
-Ma questo vale per entrambe le direzioni, dammi una ragione per chiedere al controllore cambiare il mio biglietto.
-Si potrebbe scendere in qualche stazione sconosciuta e cominciare tutto da capo.
-Va bene per te, ma Io morirei se mi muovessi da qua.
Infatti, lui aveva ragione: il suo mondo era talmente ricco, talmente bello, che sarebbe stata una follia abbandonarlo. Il problema fu che quel mondo era popolato soltanto da ombre, ricordi e fantasmi. L’unica eccezione ero Io, ma ero un’eccezione per modo di dire: non sapevo rispondere in un modo convincente alla domanda “Il perché della carne”. Ho cercato la risposta tutta la vita, ma non l’ho capito bene finora. Non era casuale che tra tutti i possibili artisti Io abbia voluto conoscere colui che esplicitamente si occupava di ombre...
-E comunque i dottori dicono che, se mi muovo, morirò.
-Non dica bugie! Lei sta aspettando la Morte mangiando cioccolatini. Lei morirà se rimarrà qua. Il viaggio si dovrà fare comunque, ma cambiando la direzione ingannerà la Morte: lei verrà e non troverà nessuno! Non è divertente?
Sarà, ma ora bisognava andare via, la Metro stava per chiudere. Non siamo arrivati a nessuna conclusione, tranne il solito appuntamento:
-Domani all’una, allora.
-Domani all’una.
Quel giorno arrivatò mia madre dall’America; era il suo compleanno, quando le dissi che di giorno sarei stata occupata e che avremmo potuto festeggiare soltanto la sera, ne rimase rattristita. Per avvertire l’artista che non sarei andata da lui ci voleva un sforzo tremendo, infatti lo chiamai all’ 1 e 15; Lui era molto arrabbiatissimo:
-Dove sei?
-Ho un problema, non posso venire oggi.
-E allora addio!
Era ridicolo, naturalmente tra un paio di giorni sarei venuta per rifornirlo con cioccolatini. Ma la mamma voleva che andassimo a Nizza per una settimana; per qualche ragione era importantissimo che l’accompagnassi. Io pensavo:
"E va bene, ci vedremo dopo Nizza e così imparerà a controllarsi, non può esplodere in questo modo...e anche meglio avere un po’ di tempo per trovare la risposta alla sua domanda “E poi”? Non era facile: che senso avrebbe per il Capitano Nemo affrontare il mondo che assomigliava sempre più a Disney Land?
Intanto, il mio “poi” fu un incubo: si trattava di abbuffarsi sullo sfondo di paesaggi bellissimi, di discorsi spiccioli che per me erano privi di qualsiasi significato al momento.
Non avevo nessun dubbio che avremmo fatto la pace con l'artista. Nella mia mente il nostro quotidiano incontro era un po’ spostato, tutto lì. Sarebbe strano, addirittura impossibile spiegare il senso della nostra conoscenza agli altri. Non lo capivo neppure Io, il bello era che nel mondo delle tenebre non ci sono certezze dei confini, solo suggestioni ed intuizioni, eppure è un mondo che sazia fame d’anima.
Durante viaggio ho passato per un festival di cinema sperimentale; volevo reimmergermi nell’ atmosfera d'artista famoso che mi era diventata così familiare, almeno guardando un suo film. Prima che si spegnessero le luci, arrivò l’organizzatore del festival dicendo che aveva una triste notizia da dare: il famoso artista un paio di giorni mori' nel sonno.
Solo dopo anni seppi che lui si era suicidato inghiottendo intera scatola di sonniferi.
Perché non ha potuto aspettarmi? Credeva che non tornero' piu'? Era tanto dolorosa, tanto profonda la sua solitudine? Oppure si e' perso tra troppe donne-ombra, forse sarebbe bastata una fanciulla “normale” che l'avrebbe fatto desiderare la vita spalancando le findestre facendo entrare il sole?... Con gli anni ho notato che nessuno desidera tanto la semplice “normalità” quanto gli uomini insoliti. Oppure dovevo comprarlo il biglietto senza chiedere, il biglietto in qualsiasi destinazione senza discutere dove andare?
“E poi?”... Non seppi rispondere, non lo saprei tutt’ora; lo sanno le donne “normali”, quelle che accendono lampadari all’arrivo del buio, pero' loro non acettano mai inviti pranzare al fondo dell oceano sulla nave della civiltà annegata.
Probabilmente tutte le risposte sarebbero venute “poi” da sole, bastava non interrompere il viaggio nella direzione opposta di quella prestabilita che, di fatto, si è già cominciata.